Costumi

È più volte sottolineato quanto Titta Ruffo abbia contribuito nel portare in scena una nuova concezione del personaggio, come figura da caratterizzare anche psicologicamente, e quanto con il verismo venne richiesto al cantante di essere un vero attore, cioè di dare alla recitazione, al trucco, al costume una credibilità ed un’accuratezza fino ad allora sconosciuta. Il grande baritono aveva un legame particolare con alcuni dei personaggi che interpretava, tra tutti sicuramente l’Amleto fu uno dei prediletti; solo per questo ruolo adoperò ben quattro tipi di costumi, seguendo una semplificazione graduale fino a ridursi a un camicione nero, proprio per evidenziare l’aspetto psicologico piuttosto che focalizzarsi sulla verisimiglianza storica.

 

Come per l’interpretazione dei suoi personaggi studia i testi originali da cui era stato tratto il libretto d’opera, così per la scelta dei costumi «consulta i dipinti dei grandi maestri per trovare le giuste espressioni, fa eseguire i suoi costumi con assoluto rigore storico, studia le truccature, gli atteggiamenti senza nulla trascurare», ne scrive Giovanni Bore su I costumi di Titta Ruffo di D. Liburdi, Pisa, Teatro di Pisa, Pacini, 1993.

 

I costumi di scena di Titta Ruffo rappresentano un patrimonio importante, una testimonianza concreta e viva della storia culturale e produttiva dell’epoca oltre che una preziosa collezione museale; la collezione, composta da oltre 40 costumi confezionati tra il 1898 e il 1931, donati dalla famiglia Titta alla Città di Pisa, ad oggi restaurati e completi di tutti gli accessori, sono conservati ed esposti presso il Teatro Verdi, Fondo Titta Ruffo.

 

Foto: Università degli studi di Pisa, Dipartimento di storia delle arti.